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Come è possibile esercitare la libertà nel tempo della "biopolitica"? Ha ancora un senso parlare di libertà quando il potere è diventato "biopotere" (alla lettera: un "potere sulla vita") impadronendosi delle attitudini, delle capacità, degli affetti e perfino dei nostri pensieri più intimi e privati? Quando cioè le stesse categorie del "pubblico" e del "privato" hanno perduto ogni ragione di essere, proprio perché il "biopotere" produce - come dichiara insistentemente Foucault - il "soggetto" stesso? Sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questo studio e a cui l'autore tenta di rispondere esaminando l'intera opera di Foucault. La questione della libertà viene interpretata come il problema che ne orienta le tappe e ne dirige gli sviluppi, dagli scritti dedicati alle "relazioni di potere" a quelli finali sull'etica degli antichi. La biopolitica costituisce la situazione attuale, il contesto e lo sfondo significante che spinge Foucault a ridefinire il concetto tradizionale (filosofico-giuridico) di libertà in direzione di un'inedita concettualizzazione etico-politica di "pratiche di libertà" disperse, contingenti, irriducibilmente plurali.