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Riccardo ha quasi 50 anni, un lavoro che lo soddisfa e una bella famiglia che ama e che lo ama. E oggi, 22 maggio 2027, è a Londra, stadio di Wembley tempio del calcio resistito alle rovine della Brexit. È lì perché la Roma, la "sua" Roma, si giocherà la finale della Champions League a 43 anni dalla prima e ultima volta. Ma anche stavolta ci sarà il Liverpool di fronte. Ma Riccardo è sereno, lui la sua partita l'ha già vinta e la sua coppa l'ha sollevata. Lui ha "salvato la Roma". Riccardo è un professionista affermato. Ma solo oggi può dirsi realizzato perché la "più importante delle cose inutili" (come disse un allenatore tanto tempo fa quando lui aveva 20 anni e certi argomenti erano più "adeguati") gli ha regalato la più grande delle soddisfazioni: scudetto e finale della coppa più importante. E il merito è il suo. Non lo sa nessuno dei ragazzi coi quali ha viaggiato in aereo e con i quali si sposta fra le vie londinesi scortato da vicino dai bobbies. Riccardo ha spezzato la maledizione o, meglio, il sortilegio che aveva affossato la sua squadra. Un incantesimo come quello capitato al Benfica con l'anatema di Bela Gutmann "mi mandate via? Non vincerete più una finale europea!" e a Lisbona ne dal 1962 ne persero ben 8 di finali e ancora non è finita nonostante i pellegrinaggi sulla tomba dell'ex allenatore. A Roma la colpa fu di di chi, anni fa, aveva deciso di cambiare la data di fondazione dell'Associazione Sportiva Roma dal consolidato 22 luglio 1927, al 7 giugno 1927. Chi è salito sulla macchina del tempo, cambiando il passato ha cambiato il futuro della squadra giallorossa. Da quel giorno la squadra non vinse più niente e la sua identità si andò sgretolando sempre più. Come una fotografia del futuro alla quale è stato cancellato il passato. E poi c'era quel 7 in ogni sua declinazione, dal 71 al 17, che ritornava sotto forma di risultati infausti, di minuti fatali, di maglie disgraziate. Chiedeva attenzione, voleva far capire quale fosse il problema. Riccardo lo capì e la sua partita fu quella di farlo capire a chi poteva rimettere le cose a posto.