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L'architettura residenziale, nelle sue diverse e molteplici declinazioni, sebbene non solo rappresenti lo spazio esistenziale primo, quello che più intimamente investe la dimensione umana, ma allo stesso tempo costituisca gran parte della trama e del disegno urbano di ogni città, viene sempre più spesso "snobbata" dall'architetto -impegnato" che, il più delle volte, si concentra su temi monumentali, di grande impatto, edifici pubblici e di rappresentanza, iconici segni urbani, spesso soltanto gigantesche esercitazioni stilistiche. Un tema, quello dell'abitare, che trova a Firenze, proprio nel ventennio che va dal 1948 al 1968, una stagione estremamente prolifica, con molti episodi significativi, "genuina" e fortemente innovativa, tanto da portare con sé, anche se legate al territorio e alla -cultura" fiorentina, un tesoro di esperienze dal valore universale, a-temporale e tutt'oggi ancora ricche di contenuti informativi. Una stagione in cui il concetto del "costruire" è sinonimo di professionalità. Un professionismo colto, costantemente vigile nei confronti delle capacità espressive della materia, attento alla definizione del dettaglio e al -buon costruire", capace di generare architettura di alto livello, in grado di qualificare il tessuto urbano creando quella "qualità diffusa- che caratterizza l'ambiente come sistema di luoghi significativi. Lezione quindi, non solo di pochi "maestri", ma anche di molti architetti e ingegneri che hanno esercitato la professione con estrema dedizione, impegno ed etica.