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«Ho incontrato l'Ayurveda per caso, nel 1986, a seguito di una malattia che sfuggiva alle indagini e resisteva ai tentativi di cura. Seguendo un amico, giunsi da una dottoressa che la praticava e che, sia pure con fatica, insieme a un fitto colloquiare, mi guidò sulla via della Salute. Ritrovate le forze, mi chiesi come mai il mio mondo non avesse compreso il mio disagio, e decisi che dovevo capire cosa fosse quella forma straniera di accostarsi alla malattia. Ho cominciato così a studiare, abbandonando via via la mia carriera solida, che compresi essere anch'essa causa del mio disagio. Studiando non scoprivo soltanto un modo di intendere la salute, ma mi si aprivano gli orizzonti di una cultura antica, immensa, che aveva posto l'uomo con la sua coscienza, come custode non solo del corpo che la contiene, ma dell'universo intero. Mi sembrava che quello che stavo facendo mio e che proveniva da un nucleo di pensiero di un popolo, vissuto migliaia di anni fa, di cui si conoscono solo gli scritti, fosse di una modernità incredibile. Dall'idea della stretta relazione fra mente e corpo, dei disagi che nascono dalla mente prima ancora che nel corpo, scorgevo le linee portanti della moderna psicologia; dalla visione della relazione con l'universo, della responsabilità che ha ogni uomo di dovere mantenere in buona salute il mondo che lo circonda, intravvedo spuntare la moderna ecologia, dal senso profondo etico di come ognuno abbia davanti a se, per costruirla secondo i principi di giustizia individuale e sociale, sentivo la eco di tante altre idee che avevano attraversato il mondo. Da questo è nata la spinta a portare avanti studi, e a diventare un modesto portavoce di quello che studiavo: il dovere imperativo di condividere quello che a me era stato casualmente offerto come dono. Dopo tanti anni di lavoro si fa strada questo scritto».