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L'Università nacque (per inciso: nell'Italia medievale e con lo studio del diritto; molti lo sanno, ma pochi se lo ricordano quando si disquisisce sulla "offerta formativa" per i futuri giuristi e si pretende di ometterne la Storia del diritto medievale) con la straordinaria scintilla irneriana di un insegnamento che stimola allo studio e di uno studio che si fa motu proprio insegnamento: il sinolo di ricerca e didattica ("studendo docere") come cuore dell'Università 1. Poi, recentemente, soprattutto per raccogliere finanziamenti, hanno inventato la "terza missione", una sorta di radicamento sul territorio (una inconscia compensazione localistica, forse, all'esterofilia anglofona che punteggia la mission di ogni università desiderosa di presentarsi smart), che per molte discipline non ha una sana logica. Insomma, il professore universitario si dedica ad una triplice attività, resa sempre più disarticolata dalla burocrazia accademica che ne frantuma l'originaria unitarietà in adempimenti via via più avulsi l'uno dall'altro. Ebbene, ciò che vorrei testimoniare in queste poche righe (che gli sembreranno già troppe, conoscendone l'idiosincrasia ad essere soggetto celebrato) è l'energia con cui Alberto Sciumè ha incarnato le due anime universitarie (ricerca e didattica) e ha accondisceso, con pazienza maggiore di quanto (non) facciano colleghi più giovani, alla missione territoriale.