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Ha ancora senso riproporre la questione della comunicabilità, dell'accessibilità e della piena intelligibilità del diritto a tanti anni di distanza da quando, con l'illuminismo giuridico, prima, e con la grande "svolta linguistica", poi, essa si è imposta all'attenzione di filosofi del diritto, giuristi, operatori giuridici? E a tale interrogativo che si tenta di dare una risposta nelle pagine di questo libro, nelle quali le angolature da cui il problema è stato in genere preso in considerazione sono integrate non trascurando il modo in cui esso si manifesta nell'esperienza quotidiana e guardando anche a come è stato mirabilmente rappresentato in sede letteraria, ove si ha quasi l'impressione, solo all'apparenza paradossale, che proprio la trasfigurazione fantastica che ne è stata offerta possa consentire di coglierne gli aspetti più profondi e significativi. L'ipotesi che parrebbe emergerne è che la perdurante attualità della questione sia connessa a un non superato (non superabile?) dato di fatto: l'impenetrabilità della legge e l'oblio della genesi del suo linguaggio sembrano solo l'altra faccia della medaglia di una sostanziale estraneità/lontananza del diritto rispetto ai suoi destinatari ultimi e, al contempo, alimentano la domanda di giustizia di quanti sentono i propri diritti, ma trovano insormontabili difficoltà allorché cercano di esprimerli in forma linguistica, vale a dire proprio quando ad essi hanno bisogno di dar voce.