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Il libro contiene riflessioni sui rapporti fra legge e giudice, e cioè sull'applicazione e interpretazione della legge da parte della giurisprudenza. La relazione che oggi intercorre fra il potere legislativo e l'ordine giudiziario denota, infatti, una profonda trasformazione, relegando il primo ad un ruolo sempre più marginale e assegnando al secondo una posizione di netta primazia. Di qui, gli interrogativi sulla portata e sul senso del principio di separazione dei poteri, sulla nozione di Stato di diritto, nonché sull'attualità di valori quali la democrazia rappresentativa, l'uguaglianza e la certezza del diritto. Il volume si propone di registrare e indagare un fenomeno, sempre più diffuso negli ultimi tempi, consistente nella tendenza espansiva della magistratura giudicante, la quale mira silenziosamente ad appropriarsi di terreni appartenenti alla potestà riservata alla legge, così dequotandola, in ragione della sua non infrequente disapplicazione o, peggio, dell'impiego di tecniche e strategie 'mani-polative', volte cioè ad ascrivere al testo dell'enunciato legislativo significati ad esso non ascrivibili ed anzi con lo stesso incompatibili. Viene, altresì, offerta al lettore un'analisi critica di alcune pronunce giudiziali, che esprimono in modo significativo l'atteggiamento creazionista esibito dal corpo giurisdizionale statale, in un contesto che spazia dal diritto pubblico al diritto privato. Il volume intende, pertanto, proporsi come veicolo di diffusione di una cultura basata sul riconoscimento di precisi confini, o sul rispetto di limiti insuperabili, allo svolgimento del ruolo attivo e propulsivo di quell'interprete qualificato cui conviene il nome di giurisprudenza, e così sollecitare un rinnovato dibattito sulle idee stesse di legge, giurisdizione e giustizia.