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Il licenziamento del dipendente pubblico, nell'ambito della costante evoluzione della disciplina del pubblico impiego, è argomento di grande attualità; esso si inserisce in un più ampio dibattito, in atto ormai da tempo, sugli strumenti più adeguati per consentire alla pubblica amministrazione di recuperare efficienza e produttività, tra i quali, appunto, la possibilità di licenziare "liberamente" i dipendenti pubblici "nullafacenti". Un rinnovato interesse per l'argomento è sorto a seguito dell'emanazione della legge n. 92/2012 (c.d. riforma "Fornero"). Quest'ultima infatti, intervenendo sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ha riaperto un interessante dibattito - che sembrava ormai tendenzialmente consolidato, almeno in giurisprudenza - sulle conseguenze dell'eventuale illegittimità del recesso intimato dalla pubblica amministrazione, e in particolare sull'applicabilità dell' art. 18 al lavoro pubblico. Ci si è chiesti, sin dai primi commenti, se l'art. 18 dello Statuto, unica norma che disciplina le conseguenze dell'illegittimità del recesso nell'ambito del lavoro pubblico (v. infra), debba trovare applicazione nella sua versione novellata o in quella antecedente alla legge Fornero (infra, cap. III). Infatti, stando alla previsione dell'art. 1 della legge n. 92/2012, le innovazioni apportate dalla riforma non dovrebbero essere immediatamente applicabili anche al lavoro nella pubblica amministrazione; la giurisprudenza però, come si vedrà, si è orientata in senso diverso.