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Il dopo-terremoto del Belice è stato il banco di prova della Prima Repubblica di fronte alle calamità naturali. La scelta di narrare il modus operandi adottato attraverso Gibellina offre l'occasione di ripercorrere il processo di costruzione di una città dalle caratteristiche uniche e contraddittorie. Contrapponendo una ricostruzione filologica di Gibellina Vecchia alla breve storia urbanistica di Gibellina Nuova, il volume mostra le distanze spaziali, temporali e culturali che le separano e offre una chiave di lettura per ripensare in modo critico i principi guida dell'urbanistica. Il passato di Gibellina Nuova non è Gibellina Vecchia. Le storie delle due città sono profondamente diverse: il terremoto del 1968, che colpì con un'intensità del IX grado della scala Mercalli la Valle del Belice, è stato additato come causa della loro soluzione di continuità, ma i veri fattori che hanno determinato una frattura nella continuità storica vanno ricercati nelle politiche di intervento e nelle utopie urbanistiche che hanno orientato la ricostruzione. Il dopo-terremoto del Belice è stato il banco di prova della Prima Repubblica di fronte alle calamità naturali; dal fallimento delle sperimentazioni urbanistiche operate in vivo nel tessuto sociale, dalla dicotomia tra ricostruzione di Stato e iniziative locali di pianificazione dal basso, dall'attivismo sociale e dall'azione/rivoluzione nonviolenta promossa da Danilo Dolci e Lorenzo Barbera, si trarranno importanti insegnamenti destinati a riorientare, nel futuro, le politiche di ricostruzione post-sismica. La scelta di narrare il modus operandi della ricostruzione adottato attraverso il caso di Gibellina offre l'occasione di ripercorrere le tappe della fondazione di una nuova città dalle caratteristiche al contempo uniche e contraddittorie, forgiata dalla potente visione di Ludovico Corrao di un esaltante connubio tra arte e città da contrapporre al monotono squallore di un insediamento pseudo-industriale, costruito ex novo in base a modelli astratti desunti da una manualistica teorica di derivazione nordeuropea. Per tentare di riannodare i fili della storia, è stata operata una ricostruzione dell'immagine di Gibellina Vecchia, i cui ultimi resti, ormai inglobati nel cemento del Grande Cretto, hanno subìto una simbolica trasposizione da ruderi a monumento commemorativo del disastroso evento. Alla ricostruzione dell'antico insediamento è stata contrapposta la breve, seppur intensa, storia urbanistica di Gibellina Nuova, costellata di centinaia di interventi architettonici ed artistici. Dal confronto emergono le distanze spaziali, temporali e culturali che le separano, offrendo una chiave di lettura per interpretare gli esiti raggiunti e per riconsiderare una nuova alleanza tra passato e futuro delle due città.