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A volte, leggendo i giornali, ci si chiede il motivo di tanta rabbia, il perché di un odio così profondo, il senso di una intolleranza così viscerale da negare a chi è diverso il diritto stesso ad esistere. Com'è possibile spiegare comportamenti il cui unico fine sembra essere l'annientamento psicologico e fisico dell'altro? Questioni scomode a cui spesso si risponde individuando nella persona che ha commesso l'atrocità una "perversione morale" o una qualche forma di patologia mentale. Ma se fossero intere comunità a esprimere rabbia, odio, distruttività? Come potremmo spiegare un "male" così diffuso? In fondo, questa è la domanda che ci hanno lasciato le atrocità commesse da nazisti come Adolf Eichmann o da milioni di persone "comuni" che si trasformarono in carnefici incapaci di "pensare" a ciò che stavano facendo. Che ruolo hanno in tutto questo il trauma e la dissociazione? In che modo è possibile utilizzare questi concetti per dare senso ad eventi e relazioni in cui si dissolve ogni capacità di riconoscere la propria e l'altrui umanità, in cui trionfa un "non pensiero" onnipotente e perverso? Prendendo spunto dal caso di Adolf Eichmann, ufficiale delle SS processato per crimini di guerra nel 1961, e dalle riflessioni di Hannah Arendt su La banalità del male, il presente volume esplora il tema del trauma, della dissociazione e del "non pensiero", offrendo al lettore un itinerario in cui la psicoanalisi si intreccia a riferimenti storici, filosofici, ma anche letterari e cinematografici. Un percorso attento però anche alla prassi psicoterapeutica: la seconda parte del volume è dedicata infatti alla discussione di un caso incentrato proprio su trauma e dissociazione. Un libro che stimola le riflessioni ed offre a coloro che si occupano di psicoterapia indicazioni utili alla pratica clinica.