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Ad alcuni di noi sarà senz'altro capitato di pensare che, negli ultimi anni, siano aumentate le manifestazioni pubbliche di rabbia e che i livelli di aggressività siano sensibilmente cresciuti. Forse è così: la riduzione delle interazioni faccia a faccia, di pari passo con l'aumento delle interazioni virtuali, ha in parte attenuato il controllo sociale che è imposto all'esibizione di un'emozione, come quella di rabbia, che è vissuta dalla nostra cultura in maniera altamente dicotomica. Da una parte come emozione difensiva del sé e come segnale di protezione contro un potenziale attacco, dall'altra come una manifestazione comportamentale assimilabile ad un peccato, ad un vizio capitale, che dichiara un'aperta ostilità e che, in quanto tale, rappresenta un ostacolo alle sane relazioni interpersonali. Ma è davvero tutto qui? Questa apparente incoerenza è sufficiente a esaurire le possibili funzioni della rabbia e le sue varie forme di espressione? In questo lavoro proveremo idealmente ad ammansire questa emozione, a comprenderne la struttura cognitiva e quella fisiologica. Tenteremo, per quanto possibile, di classificarla e di scoprirne gli aspetti adattivi e quelli disfunzionali. Ne illustreremo le caratteristiche che la distinguono dall'aggressività. Scopriremo se - e come - è possibile dominarla per sfruttarne le potenzialità e quando invece è il riflesso di un disagio psicologico che rientra nella sfera delle competenze cliniche.