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Il termine paesaggio è un termine impreciso che ha significati diversi e contiene cose di natura differenti a seconda dello sguardo. Le numerose discipline implicate lo osservano da punti di vista e approcci difformi, ciascuna con sue specificità e competenze - anche di scala - che permettono però di riconoscere dei tratti comuni. Ciò che appare unificare questi approcci è riconducibile all'idea di struttura e all'interpretazione del paesaggio come insieme di variabili materiali ed immateriali, ma soprattutto l'idea che accettare la ricchezza di questa polisemia sia indispensabile. Il paesaggio diviene in questo modo un metodo. Un metodo per interpretare e intervenire sulla realtà fisica considerando una molteplicità di aspetti, tenendo conto della complessità. Qual è il contributo che a questo ambito operativo può dare la disciplina dell'architettura? Certamente il lavoro sullo spazio e - se accettiamo, come dice Francesco Indovina, che "la città è la nicchia ecologica della specie umana" - sullo spazio urbano, il paesaggio urbano. Pensare in questi termini alla città ci obbliga a trovare nuove categorie di interpretazione dello spazio urbano e a ragionare sugli strumenti di intervento e di iniziativa da parte di esperti, progettisti, studiosi e amministrazioni. Su questo riflette questo volume partendo dal presupposto che il paesaggio urbano è lo spazio in cui viviamo fatto dal costruito e dal suo negativo, il sistema degli spazi aperti. Una lettura ovviamente tendenziosa, quella dell'autore, che parte dalla premessa che la città densa - densa di costruito, di occasioni, di possibilità, di persone e di funzioni - sia un modello insostituibile.