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Parlare oggi di autorità, in termini non necessariamente negativi, sembra quasi una provocazione: la cultura odierna è caratterizzata da un unico denominatore comune di generale "sospetto" verso tutto ciò che ha a che vedere con la "gestione del potere". E le ragioni (storiche) di quest'atteggiamento non sono né poche né infondate. Eppure, sociologicamente parlando, rimane indiscutibile che la dimensione "asimmetrica" della relazione sociale è un dato di fatto e che ciò che fa la differenza nelle interazioni concrete (interpersonali o sistemiche) non è la presenza o meno dell'asimmetria, quanto piuttosto la maniera di trattarla. Risulta estremamente importante, per questo motivo, cercare di portare chiarezza su distinzioni decisive e spesso trascurate, che determinano, in molti casi, modi antitetici di gestire il potere: autorità, autoritarismo e autorevolezza, derivano dalla stessa ridice, ma delimitano processi strutturalmente diversi. Soprattutto nelle conseguenze. Il percorso storico/sociologico proposto in questo lavoro teoretico mette in primo piano le domande centrali irrinunciabili per chiunque voglia impegnarsi nel lavoro "più difficile del mondo", l'educazione: come convivono potere e bene? Come si può intervenire a plasmare una coscienza senza alienarla, avendo, al contrario, la preoccupazione di renderla "autonoma"? Che cos'è la vera autonomia? Ci accorgeremo, cammin facendo, che l'autorevolezza è una relazione rischiosa: come, del resto, le relazioni che più ci interessano.