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Siamo veramente padroni delle azioni che compiamo? O esistono forze che ci spingono ad agire indipendentemente dalla nostra volontà? Nel tentare di dare una risposta a questi interrogativi, le nuove scoperte effettuate dalle neuroscienze stanno alimentando un serrato dibattito in ambito medico e giuridico. Il presente lavoro vuole inoltrarsi in un percorso di ricerca che prende le mosse non tanto dal tentativo tardo ottocentesco di fondare l'alterità antropologica del soggetto criminale, quanto piuttosto dalla scoperta di forze inconsce che sembravano, per la prima volta, influenzare in maniera non trascurabile gran parte dell'esistenza degli individui. Forze la cui presenza costrinse medici e giuristi non solo ad interrogarsi su chi fosse realmente il soggetto agente, ma anche a tentare di indagare questa dimensione incontrollabile dell'individuo per metterla a frutto sul piano della ricerca processuale della verità. In altre parole, se gli studi lombrosiani conducevano a separare il normale dall'anormale, il sano dal malato, il delinquente dall'uomo onesto, la scoperta di una dimensione inconscia presente in ogni individuo portava a confondere questo confine, ponendo problemi di indubbio spessore sul piano della riflessione giuridica. Questioni la cui soluzione, a giudicare dall'attuale dibattito innescato dalle neuroscienze sul piano del diritto, non sembra ancora oggi a portata di mano.