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È un mondo misero dalle speranze incerte quello che affiora dai racconti di Bruno Mele, disposti grosso modo per grandi epoche: quella fascista, quella della Seconda Guerra Mondiale e quella del Dopoguerra. C'è la poesia dell'esistenza in quei quadri umani, anche dove le necessità della vita fanno affiorare asprezze e smarrimenti che turbano la semplicità degli animi. Un mondo di valori che si alimenta di speranze sull'eco dei frequenti rintocchi. Le vicende di per sé comiche non hanno come scopo la derisione, ma quello di evidenziare come pur gli esseri semplici aspirino a superare le angustie culturali che ne circoscrivono i voli. E poi le vicende accompagnate dal fragore delle armi, che rivelano ulteriormente un quadro di miserie che si tollerano solo per lo scoppio di risate a cui danno luogo. Ma a rendere interessante il libro è quel complesso di elementi caratterizzanti della civiltà contadina di un'epoca senza prospettive certe e con scarse potenzialità di progresso. Erano predominanti i valori della tradizione, e tuttavia qualche breccia si apriva in quel muro compatto proprio a causa della guerra.