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Perché la liturgia dovrebbe essere confinata dentro le atmosfere rarefatte di una chiesa? Perché non celebrare la vita di ogni giorno? Lo iato che esiste tra la cerimoniosità ufficiale dei riti e l'anelito di una pienezza esistenziale che il recinto sacro non riesce ad esaurire sarà mai colmato? Chi è il celebrante? L'officiante sacro autorizzato e riconosciuto dalle istituzioni religiose? Od ogni uomo piuttosto celebra, in modi solo a lui noti eppure essenziali, il proprio sé più profondo e la propria esistenza? Perché la liturgia, come e più della teologia, è rimasto terreno mai attraversato dalla cultura contemporanea? Forse ha raggiunto, proprio nella liturgia, il conflitto massimo quel contenzioso mai ricomposto tra modernità e cristianesimo religioso. Vi è una densità liturgica nella vita ordinaria che scorre ferialmente ed è quasi del tutto assente in omelie e documenti ufficiali: eppure si tratta niente di meno che della vita reale, concreta, effettiva, che silenziosa prosegue, come un fiume, verso il suo esito certo.