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Una bruma spessa che si alza dai bassi fondali del canale di Tartaria, il profondo cupo della costa, la tetra rassegnazione dei deportati e la testardaggine d'un medico che vuol svelare la violenza senza responsabili di un potere sedicente illuminato: ecco Ostrov Sachalin, "L'isola di Sachalin", di Anton Pavlovi? ?echov. Un testo le cui peculiarità risiedono nel suo autore, nel tema trattato e nel vergognoso silenzio in cui s'è permesso cadesse l'opera del drammaturgo di Taganrog. Il saggio di Carlo Blangiforti parla di un libro che, se letto vent'anni fa, avrebbe suscitato quasi esclusivamente una curiosità di natura storico-letteraria: i temi affrontati appartenevano all'archeologia. Il bagno penale, la tortura, la violenza nel nostro mondo, regno della democrazia, erano da considerare relitti di epoche lontane e oscure, lontane eco di luoghi dove il lume della civiltà occidentale stentava ad accendersi...