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È sereno Luigi Bartolomeo quando nel settembre del 1990 gli agenti della Polizia di Stato fanno irruzione nella sua abitazione. Vicino a lui c'è il corpo insanguinato e privo di vita della moglie. "Sono stato io" dichiara senza scomporsi. Il 23 gennaio 1991 il Tribunale di Milano dichiara il non luogo a procedere a carico di Luigi Bartolomeo in ordine al reato ascrittogli perché non imputabile per vizio totale di mente ordinando l'applicazione di una misura di sicurezza. Vale a dire: incapace di intendere e di volere ma socialmente pericoloso. Vale a dire: ospedale psichiatrico giudiziario, manicomio criminale. A distanza di anni, espiata la misura di sicurezza, Luigi Bartolomeo chiede riaprirsi il processo. Perché? Per vedere dichiarata la sua innocenza? No. Per ottenere un trattamento sanzionatorio diverso? Neanche. Luigi Bartolomeo vuole tornare davanti ai giudici per rappresentare le proprie ragioni di persona. Vuole gridare al mondo che il suo non è stato un gesto dettato da insana follia omicida in un momento di delirio, ma un gesto ponderato e voluto per punire la moglie rea di condotte che non riusciva più a tollerare. Quella sentenza, per Luigi Bartolomeo, è ingiusta perché sminuisce il valore delle sue ragioni e del suo gesto. Matto o responsabile? La risposta la si può trovare in questo diario nel quale Luigi Bartolomeo racconta l'esperienza di recluso nel manicomio criminale, un luogo non luogo in cui la dimensione reale e quella onirica si fondono. In cui anche le parole assumono nuovi significati per rappresentare e descrivere il mondo visto da dentro. Non solo da dentro le mura del manicomio, ma anche e soprattutto da dentro il suo animo lacerato. In queste pagine Luigi Bartolomeo affronta il quotidiano squallore dell'ospedale psichiatrico scandagliando i suoi ricordi e rivivendo, infine, i drammatici momenti dell'omicidio. Sarà il lettore a dare una risposta: matto o responsabile? Prefazione di Vincenzo Mastronardi.