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"La grandezza del maggio francese stava in quello che vedemmo nei giorni successivi, quando la maggioranza s'era fermata, gli operai cominciavano a invadere il centro e quella macchina infernale che si chiama metropoli cominciava a funzionare con altre regole, con altri ritmi. Perché continuava a vivere in un'atmosfera liberatoria, quasi di euforia, in cui tutti sembravano divenire qualcun'altro, qualcuno che fino ad allora era rimasto compresso e che ora prendeva respiro. I trasporti erano bloccati, ma la gente s'era inventata di tutto per muoversi, forse scopriva per la prima volta la città e si spostava per grandi insiemi sempre dialoganti, in una grande animazione. Dovevamo ogni giorno aggiustare i nostri schemi mentali, in fin dei conti non ci era mai capitato di vivere una situazione nella quale un'intera società spezza i ritmi, le convenzioni. Così, perché è stufa, ne ha abbastanza, vuoi andare altrove dal Piano in cui l'hanno costretta, e in fondo non le importa di come andrà a finire. Certo, il fronte operaio gli obiettivi concreti li aveva, seguiva la logica del conflitto e del negoziato, qui le cose tornavano, ma in realtà, a pensarci bene, quel che di eccezionale stava succedendo sotto i nostri occhi era qualcosa che non potevi classificare come 'rivoluzione', eppure sì, lo era, era la forma contemporanea di quella cosa lì, ma che nulla aveva a che fare con quel che sapevamo del 1789 in Francia o del 1917 in Russia".