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"Il mio sentirmi emarginata significava anche non identificarmi per forza o per necessità, non lasciare che altri disegnassero per me una qualche identità. Quella che mi apparteneva era un'identità in movimento, suscettibile di cambiamento, e non mi riusciva di fissarla definitivamente dietro un'etichetta". La storia di vita di una donna che attraversa molti mondi diversi e non accetta di appartenere ad altri che a sé. Nel suo cammino, irto di ingiustizie e violenze, in cerca di dignità, concepisce un modo di pensare e di sentire che non trovano corrispondenza. Condannata all'esclusione sociale in quanto donna, migrante e povera, vive esperienze di marginalità. Quando si appropria di quella cultura libertaria che, negli anni settanta, affrontava le questioni sul tappeto, non ultima la sessualità, con apertura mentale e una buona dose di volontà dissacratoria, scopre che quella stessa cultura non esiste più, anzi, genera effetti grotteschi e risulta incompatibile con la società del terzo millennio. Dal racconto delle sue esperienze emergono l'ottusità e la violenza del mondo della scuola e del lavoro, ma anche della famiglia e dei gruppi sociali.