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Nell'epoca delle spoliticizzazioni, in cui la politica viene annientata dal dispotismo del mercato e la democrazia sprofonda nel plebiscito sondaggistico, Bensaïd sente l'urgenza di ridefinire linguaggi, orizzonti e cultura in grado di rifondare la politica nella sua accezione più nobile, la "politica profana". Stiamo attraversando una lunga transizione in cui le condizioni spaziali e temporali della politica sono profondamente mutate, l'antico ordine statuale vacilla ma non è abolito, il vecchio Stato sociale degenera in Stato sicuritario e disciplinare, e il popolo dei cittadini si disgrega in gruppi, comunità e tribù. Gli spazi vissuti e gli spazi di rappresentazione non si incontrano più, e lo stesso spazio dell'impresa si frantuma e si segmenta producendo scomposizioni senza ricomposizioni. Questa crisi d'orientamento rivitalizza dottrine religiose minacciando di rovesciare la logica di secolarizzazione tipica della "modernità". La politica rischia allora di ricadere nel sacro, come abbiamo visto nelle prediche di coloro che hanno dipinto la "guerra globale al terrorismo" come nuova guerra santa, e nella gestione tecnica dell'esistente che finisce per produrre i peggiori fenomeni di burocratizzazione e corruzione. Per rispondere a questa crisi della politica, l'autore non si accontenta delle proposte postmoderne che facendo l'apologia del "liquido" contro il "solido" rinunciano alle grandi narrazioni. Propone di riattualizzare il concetto gramsciano di "egemonia"...