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Stephane Mallarmé, in un suo memorabile scritto sul concetto di libro, del resto, affermava che il poema sembra legato ad una parola che non può interrompersi in quanto essa non parla, essa è. Il poema non è questa parola, essa è inizio, ed essa non comincia mai, ma dice sempre di nuovo e sempre ricomincia. Questo pensiero del grande poeta francese permette di dire che ciascun libro è prossimo all'origine del pensiero, è espressione delle idee, e/o delle cose che le idee simboleggiano e rappresenta la potenza del ricordo. Il libro, in questa sembianza, è un'opera, cioè un testo, perché diventa come ancora ricordava Mallarmé - l'intimità aperta di qualcuno che lo scrive e l'espressione più chiara di qualcuno che lo legge, cioè lo spazio violentemente dispiegato attraverso la reciproca contestazione del potere di dire e del potere di intendere. E chi scrive - ed è sempre Mallarmé che parla - è, anche, colui che ha "inteso" l'interminabile e l'incessante, che l'ha inteso come parola, che è entrato nella sua intelligenza, che si è mantenuto nella sua esigenza, che si è perduto in essa e nondimeno, per averla sostenuta come occorre, l'ha fatta cessare, e in questa intermittenza la parola l'ha resa apprezzabile, l'ha proferita riconducendola fermamente a questo limite, cioè l'ha dominata dandole misura.