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Tra corpo e pensiero c'è un resto che da nessuno dei due lati si può cogliere, né raccogliere. Certo, c'è un corpo-di-pensiero e c'è un pensiero del corpo che hanno occupato riflessioni importanti nel secondo Novecento. E c'è la rivolta appassionata, talvolta disperata, di tutti i soggetti "sessuati" che nello stesso periodo hanno sondato modi diversi del vivere e del mettersi in questione nel mondo proprio a partire dalle possibilità del corpo. Cosicché si può ben chiamare "queer" questo insieme di pensieri insorgenti e di corpi in rivolta, che si fanno cenno. Ma quel "resto", che non consente un sapere assoluto del corpo e della sessualità, a cui Lacan ha dato una lapidaria forma espressiva - "non c'è rapporto sessuale" - non è più solo affare dei tempi lunghi della storia ma è arrivato alla lettera della cronaca quotidiana, come a stringere d'assedio le nostre vite. Donne, omosessuali, lesbiche, transessuali, e anche taluni uomini, siamo oramai tutte/i interpellati dall'evanescenza e dalla precarietà del rapporto con l'altro, che è stato sempre la significazione di quel "resto", che, come dice l'autrice, "è diventato un prisma moltiplicativo" privo di figure certe: sicché è il "totalmente altro" del razzismo e della discriminazione a prevalere nei fantasmi dell'epoca.