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Poiché Gabriella Pace ha in sé il dono di essere un poeta, la poesia prese corpo in lei - molto tempo fa - per alcuni versi suggeriti dal padre. Io rimasi colpito da quell'uomo seduto su una poltrona, che cercava le parole per «dire a noi / tuoi figli / l'amore che ci porti», e molte altre cose solo scorte. A raccontare ora è la figlia: con una matita di sanguigna - lieve nel tono che la distingue. Essere poeti è per sempre. Il "ritorno" ha in sé qui una dura partenza: per Zwickau, su vagoni da bestiame dove furono caricati molti nostri soldati, contati come "internati". Perché tutto non restasse imprigionato nelle ance del silenzio, ecco un poeta prestare voce e canto al padre (l'aria rideva tutta, / brinata, si scioglieva. / Pensavo: / - Non siete mie nemiche -), alla madre del giovane (io sono sorda e cieca / una pietra / una foglia secca / allieva dell'autunno), a sé stessa figlia "con amore che non riposa". «Non è la prima né l'ultima / è guerra tra le guerre», la terribilità che ribolle. Ha il ritmo di un cuore doloroso questo libro. Gabriella lo ha tenuto dentro, tanto si sono affinati la chiarezza dello sguardo, la misura, la tessitura del suo scrivere.