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Manuela Infante e Guillermo Calderón sono sicuramente due scrittori e registi di teatro fuori norma. Nonostante la loro giovane età (Calderón è nato nel 1971 e Infante nel 1980), si sono rapidamente conquistati una tale attenzione da parte del pubblico e della critica da far pensare che la loro fama supererà presto il territorio nazionale. I temi e le forme del loro teatro non hanno, d'altro canto, un segno "cileno" nella misura in cui si intende per "cileno" un indistinto tratto di cultura sudamericana legata al filone della "resistenza", dell'"esilio" o del "realismo magico". "Re Pianta" e "Neva" non sfiorano neanche la storia del loro paese: il primo trae spunto da un fatto sanguinario di cronaca avvenuto all'inizio di questo secolo in Nepal, il secondo si posiziona nella Russia del primo Novecento, riscrivendo un capitolo della storia del Teatro d'arte di Mosca. Entrambi, sono attraversati da una vocazione meta-teatrale che li porta ad aprire in maniera a tratti feroce interrogativi sulla legittimità della rappresentazione e sullo statuto ontologico della realtà. La pubblicazione di questi due testi drammaturgici offre, quindi, non solo un'importante occasione di riflessione sulla direzione che sta prendendo oggi il teatro cileno, ma anche una possibilità per noi di confrontarci con alcuni temi che "bucano", con la poesia di una scrittura alta, rapinosa, il tessuto friabile e opaco della contemporaneità.