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Un mito storiografico identifica gli architetti Domenico e Carlo Fontana, insieme a Carlo Maderno e Francesco Borromini come geni affrancatisi quasi fatalmente dalla massa indistinta di maestranze edili giunte a Roma tra il Cinquecento e Seicento da piccoli centri della parte ticinese della "regione dei laghi". Questo saggio riconsidera sotto una luce diversa le fasi della formazione artistica e professionale di questi personaggi, evidenziandone gli aspetti distintivi rispetto alla rigida organizzazione gerarchica del sistema d'impresa ticinese. Al contempo, manifesta il loro decisivo contributo alla graduale evoluzione della figura dell'architetto moderno: da un prevalente pragmatismo a una complementarità tra competenze tecnico-costruttive e cognizioni teorico-letterarie. Una evoluzione sancita da Carlo Fontana all'interno dell'Accademia di San Luca attraverso una radicale riforma degli studi di architettura che all'inizio del Settecento offrirà ad altri suoi giovani conterranei una nuova prospettiva di formazione.