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"'Naja tripudians', come è stato da più parti osservato, è probabilmente, nella produzione vivantiana, il libro che più di tutti 'usa la realtà come pretesto', asservendola completamente 'alla trasformazione del tema in pura letteratura', eliminando i mezzi toni e architettando una fabula che è una paradigmatica quanto improbabile lotta tra il Bene e il Male, dove l'autrice punta con decisione il dito contro la società infetta e corrotta del primo dopoguerra. Proprio a proposito di questo romanzo Cesare Garboli afferma: 'Sensibile al gusto tragicomico della 'peripezia', la Vivanti non si limita a raccontare storie stupefacenti ma le arricchisce dei trionfi del caso, di colpi di scena imprevisti, di agnizioni improbabili. Ha un doppio sentimento della realtà: superficiale e disinvolto come quello di una giornalista avvezza a tutti i retroscena del mondo, e intimo e smarrito come quello di una bambina pronta a scoppiare in singhiozzi. Ma soprattutto le piace spadroneggiare: ammazzare e fare nascere le persone, sposarle, dividerle, spargerle da una parte all'altra del globo. Le piacciono i risvolti della vita, i repentini mutamenti di sorte, i rovesci, le fatalità, i giochi e gli enigmi della fortuna". (Dall'introduzione di Riccardo Reim)