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Ben pochi si sono dichiarati a favore della guerra, quasi nessuno si è proclamato amante della guerra, ma tutti sembrano desiderare ciò che solo con la guerra possono ottenere. Quando a Bismarck chiesero se, allora, voleva la guerra, rispose: "Ovviamente no. Voglio la vittoria!". Molti capi politici vogliono lo stabilirsi di una pace gravata da vergognose ingiustizie, preferendo entrare nelle Nazioni altrui a poco a poco, senza incontrare resistenza. Da questa paradossale confusione dei valori, dalla loro deformazione e commercializzazione prende avvio il presente volume, per tentare un più sottile discernimento, per cercare di tenere assieme le dimensioni della lucidità disincantata e della passione, che ci fa innamorati delle opere della pace. Questo libro prova a sfatare il mito del primato della guerra e della violenza, mostrandone le connessioni con quell'Occidente che, dall'Iliade alla Guerra del Golfo, da Achille a G. Bush, ha affermato, con ossessiva coerenza, la decisività della forza e, alla bilancia della forza, la decisività della propria potenza. Dall'Occidente si distingue il miglior spirito europeo, giudicato ancora capace di percepire le grandi sfide storiche: non l'Europa soffocata dal costume mercantile, nella quale solo le scogliere di Dover sembrano non ancora in vendita, ma l'Europa dell'Umanesimo dell'altro uomo e della convergenza nella diversità: la "patria delle differenze" che ha messo in evidenza De Rougemont.