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"Letto il titolo, ho pensato subito ad una trasposizione trasteverina della Penelope omerica, in desolata attesa di un Ulisse romano di ritorno da una delle tante guerre che, funestando la prima metà del secolo scorso, coinvolsero i nostri padri e i nostri fratelli maggiori. I loro ritorni dalla Libia, da Vittorio Veneto, dall'Etiopia, dalla Spagna, dalla Russia, dai campi di concentramento di mezzo mondo, dalle montagne dove avevano fatto la Resistenza, non erano meno avventurosi del ritorno (nostos in greco) di Ulisse dalla guerra di Troia: il ritorno più famoso di tutti i tempi. Poi lessi il romanzo, e scoprii che la Penelope del XIII rione non aspettava il ritorno di nessuno e doveva il nome pagano solo alla laicità di suo padre. Ma scoprii anche che, nelle pagine, il nostos c'era ugualmente. Ed era il ritorno di un personaggio del racconto. Era il ritorno di Serena in Trastevere dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Nostalgia? Sì, ma non il patetico e lacrimoso sentimento di rimpianto per qualche cosa di perduto, come si interpreta in italiano l'etimo greco (costituito da due parole: nostos ed algia) che tradotto letteralmente vuoi dire "sofferenza per il ritorno". E infatti non dev'essere stato un ritorno facile, partire dalla fine della Repubblica Romana del 1849 ed arrivare a questi amari tempi, senza perdere per strada i nostri antichi ideali di libertà" (Luigi Magni).