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"Miti quotidiani, conoscenze che cambiano seguendo i colori del giorno, fondali trasfigurati da sguardo e pensiero mossi verso i punti cardinali. C'è forte dipendenza tra il minimo eroismo della consuetudine e il sogno del mito. L'accostamento alle cose da parte di questa poesia racconta condizione assolutamente vitale, il ricorso alla natura è abitato da influenze panteiste e la personificazione aggiunge ritmi umani lungo tutto il ciclo delle correnti terrestri. La direzione univoca del libro dispone la visione della luce, attraversando i fondamenti cruciali del mondo animato. Pur fuori dalle regole di coloro che furono i Romantici, gli ultimi a incarnare "il sogno della natura" in figure del mito, la raccolta si addensa là dove ancora esistono orizzonti praticabili. Il linguaggio è memore di immagini senza filtro, di itinerari luminosi e ricchi di movimenti biologici e coloristici che sembravano scomparsi dall'attenzione dei poeti. Appaiono suoni e brividi tattili di ben altre epoche, catturati da volontà insonne, e contrastanti le insidie meccaniche. Margani mette in scena paesaggi oggi segreti ai più, là fuori il teatro degli alberi, degli animali, dei boschi e delle acque occupa lo sfondo e i primi piani. I ponti crollano, le macerie avanza-no ma il sud del mondo viene guardato come corte salvifica. I bagliori di una fine sono molto vicini, Margani li scruta e ci avverte, contemporaneamente lavora perché i princìpi elementari non vengano distrutti, e la pietra e la vita restino nell'ordine delle cose. Gli uomini sono ancora nel paesaggio, pur con canti e destino al limite del sovvertimento. Questa poesia ha sorte decifrata, la sua visione è ciclica e potrebbe consentire di attinge-re agli ultimi residui umani capaci di contrastare i veleni e proteggere l'anima del mondo. (Scriveva nel 1990 "Il mito giardino" Giuseppe Conte: "I poeti l'hanno sempre saputo, la poesia fa anima"." (Elio Grasso)