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"I vivi. Un tremore" di Andrea Donaera è un poemetto sulla morte: i morti entrano di notte, prendono alle spalle, sono in ogni dove e hanno voce ferma e parole esatte: esistono quanto i vivi. Un'opera compatta tra gergo dialettale salentino e traduzione in italiano corrente, nella quale rifulge la Bellezza di chi si ostina a non ritenere le cose morte, morte. Un doppio passo, dell'amare e dell'aver amato, del qui e ora e dell'altrove, che sono un unico luogo perfetto. Non di certo un necrologio, bensì una celebrazione della vita, perché Donaera riconosce il livello sustanziale dell'esserci come un livello necessario all'Essere: esserci ed esserci stati hanno lo stesso peso e la stessa forma. In quest'opera Donaera anela a una condizione gnostica, laddove l'aver patito e considerato la vita significa riconoscere la luce, non come un miraggio, come un'ipotesi salvifica, ma come un fatto reale e tangibile quanto un tavolo o una sedia, come ciò che si sperimenta al fondo della coscienza. Come ciò che resiste al passaggio spietato del tempo.