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«Questo lavoro è temerario. Un saggio che tocchi uno tra i cardini dell'antropologia comporta sempre più di un rischio. Addentrarsi, poi, in vere e proprie sabbie mobili "spirituali" vuole una certa dose d'incoscienza: non potrebbe essere mera presunzione cercare dialetticamente il vero per antonomasia, il reale, l'assoluto? Il rischio esiste ma, per superare un ponte, accettare l'incertezza può voler dire andarci oltre. Se non si affrontasse l'alea sicuramente ci si fermerebbe "di qua" e ci si affaccerebbe dal versante assodato, sicuro, limitandosi a guardare "di là". Così si è accettato il rischio: l'oggettivo è pericoloso, parlarne è pretesa, sperimentarlo è follia ... ma non provarci è rinunciare a vivere, davvero, e perdere la virulenza di quell'Amor "... che move il sole e l'altre stelle"».