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Il filosofo e vescovo inglese Roberto Grossatesta (1170 ca.-1253) si interroga nel breve trattato "De luce", uno dei suoi più noti ed enigmatici scritti, sull'origine e la struttura del cosmo, temi di vasto e articolato dibattito all'indomani dell'ingresso in Occidente delle opere fisiche di Aristotele e dei suoi commentatori arabi. L'idea nuova e singolare che propone è quella per la quale l'universo si sarebbe originato dalla subitanea e infinita moltiplicazione di un "punto" di luce unito alla materia prima, espansa fino a formare un corpo sferico di immane grandezza. La luce è principio causale in quanto è la forma prima del corpo, individuata nella stessa corporeità o tridimensionalità fisica. Attraverso questa singolare tesi ontologica, il trattato attualizza l'antico tema della struttura matematico/armonica dell'universo nonché le dottrine fisiche pre-aristoteliche, traendone spunto per un'inedita esegesi del biblico Fiat lux. A buon diritto, questo scritto è considerato un "unicum" nel pensiero medievale, e il suo tradizionale inquadramento nella corrente di pensiero della "metafisica della luce" giustifica solo in parte la sua originale teoria. Questo primo studio dedicato interamente al "De luce" presenta l'edizione critica messa a punto da Cecilia Panti che, insieme ad una nuova traduzione italiana, cura un ampio e puntuale commento testuale e un'introduzione complessiva alla dottrina grossatestiana della luce. Prefazione di Pietro Bassiano Rossi.