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Perché l'ennesimo libro su Aldo Moro, perché cadere nella suggestione del quarantesimo dalla morte, nella trappola degli anniversari? Per un dovere di generazione verso chi ha patito, in nome e per conto di tutti. Per una pietà speciale dedicata ai morti per violenza politica. Per un'angoscia che va e viene e mi pare di asciugare, in parte. Dunque, per un egoismo contro lo star male, il sentirsi male. Con questo libro vorrei ripassare i nostri comportamenti e dipanare la congiura dei mediocri. A Moro si torna per enunciare l'altezza dell'amore e quindi della democrazia, l'irrinunciabilità ad essa. A Moro si torna per carpire il suo insegnamento alla pazienza perseverante, alla tolleranza, all'idea che le cose della vita e della vita politica si ottengono per persuasione e non per comando o per recite brevi. A Moro ritorno per pregare la sua morte e la morte di tanti sventurati, colpiti da un terrorismo armato di pistole e di mitra, caricato di ideologie perse. A Moro, infine, ritorno e mentre avanzo verso di lui, mi sembra meno scura la morte, meno atroce la sua solitudine in quella prigione, che è stata, letteralmente, un lager.