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Per rappresentare la malinconia, Albrecht Dürer incide una figura china, la cui concentrazione assorta contrasta con il proliferare di oggetti che la attorniano. Sembra, a questo proposito, che il mistero che contempli sia proprio quello del suo legame con le cose, che resistono, estranee, al suo volgere lo sguardo altrove. Ed è infatti al problema dell'immagine, intesa non come forma specifica, opera d'arte o rappresentazione filosofica, ma come luogo di un senso che non si dà che nel suo concreto configurarsi che, per Aby Warburg come per Walter Benjamin, la Melencolia I di Dürer rimanda. Lo spazio della malinconia si sposta così dal soggetto a quel territorio di confine, di continua intersezione tra il sé e la realtà esterna, tra l'interiorità e il mondo, che è l'immagine, intesa come concreto e reciproco configurarsi di entrambi. La riflessione su di essa permette di rendere alla malinconia il suo carattere contraddittorio, quell'unità di distruzione e costruzione che la tradizione aristotelica le attribuisce e che la modernità, identificandola con un Io depressivamente senza mondo, o contro il mondo, per lo più le sottrae.