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Quando si pensa all'amore al tempo dei Romani, vengono in mente immagini di satiri lascivi, lupanari e baccanali sfrenati. Ma sarebbe improprio ridurre Roma a questi clichés. In realtà, nella Caput Mundi sono presenti tutte le forme d'amore, dalle più grossolane alle più raffinate. Le origini stesse della città riposano su due vicende amorose: la passione tra Venere e Anchise, genitori del mitico antenato dei Romani, Enea, e la passione del dio Marte per la vestale Rea Silvia, dalla quale nascerà Romolo, fondatore leggendario della città. Numerosi rituali favoriscono la sessualità e la fecondità: la venerazione del fallo, la festa dei Lupercalia, le Floralie... E se la virtuosa matrona Lucrezia testimonia il valore essenziale riconosciuto al matrimonio, questo certo non eslcude la ricerca del piacere erotico. I Romani hanno una morale sessuale assai semplice: a patto di non coinvolgere le donne o i figli dei cittadini, tutto è permesso. L'attrazione tra i sessi è anche uno strumento di potere - per gli uomini (Pompeo, Cesare) come per le donne (Messalina, Agrippina) - e rappresenta altresì un motivo estetico (gli affreschi di Pompei, l'Ars amatoria). Di pagina in pagina, il volume tratteggia l'intreccio di passioni e amori che percorre sin dagli inizi la civiltà romana, della quale restituisce un'immagine meno "esotica" ma molto più articolata e complessa di quella fantasticata da molti film peplum, offrendoci l'esempio di costumi che non sono poi così lontani dai nostri.