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Considerato un "ribelle" e un outsider, Johnny Depp ha faticato non poco a liberarsi dal cliché del "bello e dannato" per imporsi sulla scena internazionale come un attore di talento. A dispetto della fama da sex symbol che i media gli hanno cucito addosso, ha preferito misurarsi con personaggi complessi e tormentati e lavorare con registi in grado di dare voce alla sofferenza, alla solitudine, alla diversità. E uno dei pochi artisti a non essere ossessionato dall'immagine e non esita a trasformarsi fisicamente. Il volto sfregiato del protagonista di "Edward mani di forbice", la calvizie del Raoul Duke di "Paura e delirio a Las Vegas", il plastificato Wonka de "La fabbrica di cioccolato" e lo spaventoso ghigno di Sweeney Todd sono alcuni dei ruoli "estremi" in cui l'attore ha alterato la propria fisionomia per essere non soltanto aderente al ruolo ma "nel" ruolo. Diretto da grandi registi Depp non ha mai smesso, come lui stesso ha dichiarato, di "mettersi alla prova". Dopo una lunga serie di film dettati dalle "scelte di cuore", Depp è arrivato al successo planetario a quarant'anni con la miliardaria saga dei Pirati dei Carabi, portando alla ribalta un genere che, dopo l'era di Douglas Fairbanks, sembrava destinato all'oblio e a un sicuro flop al botteghino. Il suo Jack Sparrow, invece, è entrato nel mito, con la sua aria da sgangherato masnadiero, funambolo sul filo dell'avventura e della comicità, incarnazione perfetta del corsaro post-moderno.