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Un crudo dramma tra le porte chiuse di uno scantinato mette in scena la condanna a morte di una vittima di guerra: una donna, ultima testimone della cultura del suo popolo, la cui fine segnerà anche l'estinzione di una lingua. Una potente metafora teatrale, fatale e affilata come una tragedia greca, per rappresentare la ferocia della storia, l'umiliazione patita dagli indifesi e il genocidio delle minoranze, sacrificate sugli altari di irrazionali pulizie etniche o anche di più subdole pratiche di omologazione. Ne è autore il grande drammaturgo ungherese Miklós Hubay, che nel 2000 ricompose in Friuli il testo di un suo manoscritto andato perduto: un omaggio d'amore a questa regione e alla necessità della sua lingua 'altra'.