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A ogni grande artista, secondo le aspirazioni del suo tempo, Jean-Baptiste Siméon Chardin (1699-1779) sa dare una parte di se stesso. Cézanne è sedotto dalla sua arte di perfetto costruttore, Vincent Van Gogh s'appassiona alla sua pennellata grassa, gli impressionisti sono affascinati dal suo approccio all'oggetto mediante l'osservazione diretta, i cubisti sono colpiti dalla sua forza artigianale, Henri Matisse viene conquistato dalla sua poesia, Giorgio Morandi ne ammira d magico silenzio, che ricrea nelle sue nature morte metafisiche. Ma la verità di Chardin va forse ricercata tra i poeti, gli amici delle nobili materie: Vermeer e Corot. E questa trilogia dei pittori del silenzio ha indubbiamente, soprattutto oggi in un'epoca di pittura-urto e di rapide emozioni, una sua funzione. Questi pittori hanno in comune almeno un'esigenza: bisogna fermarsi a lungo davanti alle loro opere per vederle vivere. Solo allora si anima quel mondo che sembrava morto. Catturata da quei frutti, da quegli oggetti, l'attenzione si attarda e scopre, al di là delle apparenze, l'aspetto sconosciuto del mondo che ci circonda.