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Due stati d'animo di uguale intensità dominano le lettere di Sironi: una sofferenza immutabile e un'immutata tensione creativa. L'una e l'altra non trovano pace, né forse la cercano. Il giovane che a diciotto anni dichiara di aver già avuto "molte prove della maliguità del destino"; l'uomo che nel '35 sente "il peso del destino inumano" e nel '61, poco prima di morire, si augura solo di trovare "dopo tanto bestiale soffrire [...] un po' di pace e silenzio" , è lo stesso che lavora pcr decenni con inalterata concentrazione e si dedica all'arte con tutte le sue forze. La vita non ha risparmiato a Sironi le esperienze drammatiche: prima la perdita del padre a tredici anni, le ricorrenti crisi di nervi, la guerra; poi la povertà, la contrastata vicenda familiare, le aspre polemiche sulla sua pittura; con la caduta del fascismo il crollo di tutti i suoi ideali politici, un esecuzione sommaria evitata in extremis, l'emarginazione; infine la perdita della figlia Rossana, che si uccide a diciotto anni nel 1948. Eppure leggendo le sue lettere, che ricompongono tutta la sua vicenda biografica (e che qui sono ordinate per la prima volta in modo organico), si ha l'impressione che la sua sofferenza nasca soltanto dalle circostanze esterne, ma abbia un'origine più misteriosa, più segreta. La sua sensibilità getta un'ombra cupa sullo spettacolo delle cose.