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Abitare è esistere, perché dell'esistenza ha il sapore e il respiro, i sogni, che lo mettono in moto e fanno tutt'uno con l'istanza antropologica, che costruisce luoghi dove raccontare la vita e fa degli stessi una narrazione, in cui mettere in scena lo stare e l'agire, i desideri e i ricordi. Questa valenza antropologica è ciò che emerge in primo piano nei processi che stanno ridefinendo la postmetropoli nelle diverse accezioni delle megalopoli prossime venture, delle nuove città ecologiche e futuribili, delle aerometropoli, delle città patologiche o imperfette, città non finite, caratterizzate dall'habitat abusivo e dalla presenza di attività informali, delle città "ristrette", dell'"acrescita" e della ricerca della "giusta dimensione". La territorialità, in quanto campo relazionale, può allora valere come chiave interpretativa in grado di far apparire i meccanismi messi in atto dagli attori sociali e di individuare le logiche spaziali che si sono stratificate e che interagiscono sul tessuto urbano e gli intrecci tra spazi fisici e spazi transnazionali e virtuali. Così, mentre la città è sempre più un mosaico di luoghi separati e di mondi autoreferenziali, nei nodi di reti socialmente condivisi, gli spazi si aprono al coesistere e all'intrecciarsi delle geografie materiali, costruite dalle pratiche quotidiane, con le geografie immateriali che attribuiscono significati simbolici al mondo reale, che rimandano a una geografia fatta di esperienze individuali e rappresentazioni collettive.