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Quella di Frazer, oggi talvolta reputato il rappresentante di un'antropologia vittoriana tramontata, fu in realtà l'avventura di un esploratore del profondo, che a cavallo tra Otto e Novecento, sulla scia della rivoluzione darwiniana e anticipando quella freudiana, mirava a ricondurre i miti di dèi ed eroi al centro della riflessione culturale, individuandoli quali metafore e allegorie del retaggio inconscio dell'Homo sapiens. L'autore del "Ramo d'oro" intraprese così una spedizione nei meandri della psiche, dove pulsavano le passioni ancestrali, il tempo non trascorreva e si generavano i sogni. Scarpelli segue la figura e l'opera di Frazer in un viaggio che muove dalla Grecia micenea per poi inoltrarsi nel bosco sacro di Diana a Nemi, teatro di foschi duelli tra aspiranti sacerdoti, e alla scoperta di ulteriori culti ellenici, italici e mediorientali, contrassegnati dal sibilare della falce del sacrificio. Vengono inoltre individuati inediti rapporti tra il pensiero frazeriano e il Vico autore della "Scienza nuova", il primo Nietzsche ed Erwin Rohde, Thomas Hardy ed Ernest Renan. L'eredità di Frazer si presenta oggi come un invito a proseguire sulle sue tracce, per continuare a indagare sulle pulsioni che restano indomabili, su quelle che paiono sopite e riesplodono in circostanze critiche, su quelle che invece possono essere utilmente deviate in nome della civiltà e diventano empiti artistici dell'immaginazione.