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Eccoci a confronto con "una vita sbagliata", quella che Oreste Spagnuolo ci racconta guidandoci nella banale normalità della morte, nella vita quotidiana di un killer dove le giornate sono scandite da esecuzioni e azioni violente. Lui, però, non è nato malamente. Ci racconta che killer si può diventare per comperarsi un paio di scarpe o per essere ammirati dalle donne, oppure per non dover mai abbassare lo sguardo. Si entra nel "sistema" per disgusto di una vita piccolo borghese, per spavalderia, per noia o indifferenza. Oppure per appartenere a qualcosa e a qualcuno. Per sentirsi grandi e provare il brivido dell'onnipotenza. 'Eravamo rispettati. Ma quel rispetto nasceva dalla paura. Del resto non pensavamo neanche: "Se poi un giorno mi arrestano...'".