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Sia per la storia, sia per l'architettura la Memoria della Shoah presenta una difficoltà ontologica. Esiste da un lato l'incapacità di esprimere, di comprendere, di immaginare l'esito finale della deportazione, quando il dire coinvolge l'indicibile. Dall'altro lato, la testimonianza dei sopravvissuti rende necessaria la narrazione letterale, precisa, minuziosa del meccanismo della cosiddetta soluzione finale. Sia in Francia, sia in Italia sono rimasti segni architettonici concreti della Shoah. Fautori di genocidi, i regimi nazifascisti hanno pianificato la logistica della deportazione tramite luoghi di concentramento e di deportazione. Il campo di Drancy in Francia, nella periferia nord-est di Parigi, è stato una stazione di transito per migliaia di persone, così come dalla Stazione Centrale di Milano ne furono deportate centinaia. In Francia, dove il negazionismo ha cercato di sopravvivere al racconto dei sopravvissuti di Drancy, le istituzioni nazionali hanno conferito nel 2001 lo statuto di Monumento Storico alle reliquie del campo. A Drancy come alla Stazione Centrale di Milano si cristallizza così un programma interpretativo dove la narrazione storica coabita con un centro di documentazione e una biblioteca. Scopo di questo bouquin è di confrontare il Memoriale della Shoah di Milano, opera degli architetti Morpurgo de Curtis, vincolato dal MiBACT per il suo "interesse culturale storico particolarmente importante", con il Memoriale di Drancy, progettato dallo studio Diener & Diener. Alla drammaturgia del percorso milanese, che si svolge tra straniamente e distanziamento, risponde l'espressione laconica del Memoriale di Drancy.