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Marco Carboni, sindacalista sardo, viene inviato in Calabria dalla segreteria nazionale del suo sindacato per cercare di risolvere una lunga e dura vertenza aperta dagli operai delle industrie della piana di Gioia Tauro. Un mese dopo il suo arrivo viene assassinato a Rosarno, al termine di una cena. Sette anni più tardi la famiglia Carboni, su precisa richiesta di un fratello dell'ucciso, fatta in punto di morte, chiede allo studio legale Deffenu di cercare di scoprire la verità. L'inchiesta giudiziaria aperta sull'assassinio non ha portato a nulla e rischia la definitiva archiviazione. Il capitano dei carabinieri Gino Murgia, recatosi in Calabria per indagare, stabilisce che Marco Carboni era stato ucciso perché aveva scoperto che la 'ndrangheta utilizzava il porto di Gioia Tauro per traffici illeciti, ma, per una tragica concatenazione di eventi, l'inchiesta non riparte. Una parte della famiglia Carboni è comunque soddisfatta del risultato, un'altra no perché, senza un processo o una sentenza, i figli e la moglie dell'ucciso non avranno diritto ad alcun risarcimento.