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Chi ha assistito a una lettura pubblica dei testi di Sigurour Pálsson, una delle voci contemporanee più espressive nel panorama letterario islandese, si sarà facilmente reso conto di quante molteplici, infinite sfumature contengano: forza, umorismo, movimento, stabilità, critica, bellezza e riflessioni filosofiche che s'intrecciano a situazioni concrete con maestria e brio. Il miscuglio di regola e caos, di alto e quotidiano conduce i lettori in un itinerario drammatico, esaltato, che di tanto in tanto sfiora il surrealismo e l'assurdo (sicuramente ereditati dal soggiorno francese) e si propone di riflettere sulla collocazione della poesia nei confronti della realtà, rivelandone una tenacia insolita e quasi minacciosa. Dal suo esordio negli anni Settanta con gli "artisti cattivi", il gruppo che si fece portatori di un profondo risveglio poetico in tutto il paese, Sigurour Pálsson ha dato alle stampe quindici volumi di poesie, accomunati a tre a tre da un tema principale. I titoli, che sfociano nell'intraducibilità e stanno in equilibrio tra più interpretazioni, richiamano una "poetica" che di volta in volta si affianca a un altro elemento, che sia l'uomo, il potere, l'energia, la terra, la danza, il gioco... per terminare in una ricerca di senso poetico, fino a diventarne veicolo.