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"Evviva l'altopiano di Camuti che mi vide bambino. Cominciai a scrivere poesie all'età di nove anni, adeguandomi alle consuetudini della famiglia e del mio paese, Mineo, dove gli abitanti in maggioranza erano poeti vernacoli, in gran parte analfabeti, contadini poveri, raccoglitori d'ulive, venditori d'acqua, pietraroli, calzolai, barbieri, sarti, guardiani di buoi, o caprai, e camposantari e artigiani che, per il loro mestiere, erano portati a fare delle considerazioni sulla fugacità di ogni cosa. Ma la verità è una: debbo fare tutto da me, non ho un gatto, o una formica che mi aiutano. E la mia solitudine, che amministro e cerco di superare da solo, mi spunta come ombra sempre davanti. Ma in questo c'è un grande mio gioco fra narcisistico e retorico e infantile".