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In questo "romanzo dei giardini" l'Eden è il protagonista, anche zoologico; segue l'Academos platonica, poi il giardino "privato" di Epicuro dove si coltiva "l'in sé e per sé". La lunga sequenza ci conduce fino a Versailles, e forse a Bomarzo; e ad altre mete della mente girovaga, come i campus universitari contemporanei, cosiddetti vivai dell'intelligenza. Dove i cancelli della superstizione sbarrano l'accesso ai giardini sapienti, l'autore ermeneuta, corredato degli strumenti del fabbro, li apre con le ingegnose chiavi del giardinaggio filosofico. Inevitabile che i giardini evochino il ricordo del paradiso perduto, ma allo svelamento del segreto si contrappone la censura del verde ombreggiato dalla controra. Nei luoghi dell'architettura botanica si vive in uno spazio senza tempo, quasi eterno: questo è l'ovvio segreto che ci rivelano le piante, mentre tutti cercano il non tempo che non c'è, trovando solo l'eternità indifferente della natura. Incanta l'esempio della poetessa che immagina che il frutto mangiato da Eva sia stata una melagrana, e i semi contenuti nel frutto proibito la renderebbero, oltre che nostra progenitrice, anche madre della flora tutta. In quest'opera originale la botanica diventa la livrea allegorica delle filosofie e delle branche scientifiche: ultima meta vincente del libro.