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"Rileggendomi ho capito di avere descritto la condizione di un giovane calabrese, demotivato dalla lunga disoccupazione e sconfitto poi, anche nella fortuna, dal disordine paralizzante della sua terra. E mi sono chiesto: ma se sapevi tutto in anticipo, perché sei rimasto in Calabria? Potrei limitarmi a rispondere: per i casi non lieti della mia vita. Ma non basta. Perché altra è la sorpresa più inquietante che ho trovato: la radice di un male antico, un male dell'anima, mio e di tanti miei conterranei. La morte lenta della speranza, il venir meno della fiducia in se stessi, la incapacità di sfidare il futuro, di uscire dall'inerzia e dalla rassegnazione. Per rimanere a vegetare, estranei certamente all'inganno, all'intrallazzo, alla sopraffazione, al servilismo; e innocui, precari nelle attività e nel contesto sociale, senza prospettive e senza ribellioni. Descrivendo questo mondo chiuso ho voluto esorcizzarlo, per rivendicare il diritto dei forti di spirito e di cuore agli spazi della partecipazione creativa. Ma più forte è stato ed è l'ambiente".