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«Nella mia vita Gobetti è stato l'inalterabile punto di riferimento, il costante termine di paragone, nelle convergenze, nelle discussioni, negli approfondimenti, anche nelle revisioni». Così scrive Giovanni Spadolini nella prefazione al volume. Il libro raccoglie tutti gli scritti su Gobetti e il gobettismo sparsi nel corso di mezzo secolo di immutabile fedeltà gobettiana dell'autore. Nessun italiano di questo secolo ha avuto una così alta idea dell'Italia e nessuno ha insieme scrutato quanto fossero profonde le crepe, gli squilibri, le eredità negative della vita e del costume italiano fino a giudicare, con spietatezza rivelatrice, lo stesso fascismo come «l'autobiografia della nazione». Ricordare Gobetti vuol dire guardare a un'altra Italia, quella in cui egli credette e per la quale si sacrificò intero, «perché dalla nostra sofferenza nascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso». Contro tutti i compromessi tradizionali della storia italiana, Gobetti richiamò al coraggio dei propri ideali, all'assunzione delle proprie responsabilità, all'eroismo del proprio impegno: vero esempio di eroe borghese - come lo definì Eugenio Montale, che disse di lui: «il compagno di strada, eguale a noi, migliore di noi, l'uomo che fu cercato invano da una generazione perduta, l'uomo che noi ci ostiniamo a cercare ancora nella parte più profonda di noi stessi». In Gobetti dominava un fondo di idealismo tragico. La pugnace laicità liberale di Gobetti si riassume per noi in queste parole: «La sicurezza di essere condannati - la crudeltà inesorabile del peccato originale per usare forme mitiche di espressione - è la sola che possa dare l'entusiasmo dell'azione, con la responsabilità, con il disinteresse». Quasi un Ecclesiaste laico.